di Riccardo Villarosa
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Lo ammetto: l’idea di fondare l’ASDEC mi è venuta quasi esclusivamente per vile interesse personale. E’ un segreto che ho covato per tanto tempo e ora desidero liberarmi di questo peso. Credo che Gianalberto Zanoletti di Rozzano, il presidente, abbia intuito qualcosa, ma non ne abbiamo mai parlato. Sono passati vent’anni da quel momento e credo sia arrivata l’ora di discutere apertamente. Sono pronto ad affrontare le conseguenze.
Tanto per incominciare sia il presidente che il sottoscritto vent’anni fa avevamo i baffi. I suoi mi facevano invidia perchè non so grazie a quale stratagemma riusciva a plasmare i baffi a forma di manubrio di bicicletta e a mantenerli in quella forma per tutta la giornata ( i cosiddetti handlebar moustaches molto popolari tra gli ufficiali dell’esercito britannico). Forse di notte dormiva con una retina sui baffi. I miei baffi invece tendevano a puntare gli estremi verso il basso creando l’effetto “mongolo depresso” nonostante utilizzassi cera, dentifricio e quant’altro per cercare di rafforzarli nello sforzo antigravitazionale per darmi un aspetto più allegro.
Col passare degli anni decisi di tagliarmi i baffi. Uno quando invecchia deve cercare di liberarsi della zavorra. Ebbi il piacere di constatare che qualche anno dopo anche il presidente si era liberato del baffo forse perché aveva notato che avevo più successo con le donne dopo la mia mutilazione pilifera (questo gesto nel linguaggio degli uffici brevetti viene definito “imitazione servile”). In compenso il presidente aveva due cani bassotti a pelo lungo chiamati Basso e Otti che secondo la leggenda erano capaci di saltare a terra con la cima di ormeggio in bocca e di annodarla a una galloccia in banchina. Il loro nome era molto economico. Quando il padrone li voleva saltellare attorno a sé latrando il loro affetto canino chiamava “bassotti!” e loro arrivavano. Credo che la Domenica del Corriere abbia dedicato una copertina disegnata da Achille Beltrame a questo commovente rapporto. Io d’altra parte i cani in genere non li ho mai potuti sopportare.
Ho scritto quanto sopra cercando di imitare lo stile di un romanzo giallo per invogliare gli acquirenti di Yacht Digest a leggere questo articolo. Altrimenti i pezzi celebrativi relativi a ventennali o trentennali associativi non li legge quasi nessuno.
Comunque andiamo avanti. Vent’anni fa Yacht Digest era agli esordi. In edicola si vendevano poche copie, gli abbonati non erano ancora quella folla oceanica a cui recentemente siamo stati abituati. In poche parole la pubblicità era poca, la fame tanta sul ponte potrebbe sventolare bandiera bianca. Quando capii che l’editore di allora considerava seriamente la chiusura di questo bimestrale se i conti non quadrassero decisi di trasformarmi in venditore. Non volevo rischiare di perdere un posto di lavoro dove mi pagavano per un esercitare un’attività che mi divertiva molto per cui sarei stato di disposto a lavorare gratis et amore dei.
Una delle vie che decisi di seguire era quella di stringere rapporti con le associazioni. Proponevo su ogni numero della rivista una pagina dedicata all’associazione in cambio dell’abbonamento a prezzo ridotto a tutti i soci del sodalizio. Siccome all’inizio le associazioni erano titubanti decisi di contribuire a crearne una personalmente. L’idea era quella di creare un’associazione che si occupasse di motoscafi d’epoca perchè l’AIVE creata cinque anni prima si occupava in pratica solo di barche a vela. C’era stato qualche tentativo di coinvolgere i motoscafi d’epoca in qualche raduno AIV E ma la cosa non aveva funzionato. Andai a parlare della costituenda associazione Gianalberto Zanoletti che da una diecina d’anni aveva costituito la Raccolta della Barca Lariana a Pianello sul Lario, un vero e proprio museo navale con diecine di motoscafi d’epoca.
Ne parlammo un paio d’ore e Zanoletti si convinse. Reclutammo una diecina di appassionati e Carlo Gandini ,l’editore di allora, invitò tutti a un ristorante milanese in via San Fermo della Battaglia che “nomine omen” lasciava presagire le lotte da affrontare. Al pranzo fu invitato anche il notaio Mezzanotte che aveva preparato l’atto costitutivo da far sottoscrivere agli intervenuti. In un certo senso ero riuscito a creare quella che gli americani chiamano un win win situation cioè una situazione in cui tutti vincono. Io ero riuscito ad avere i miei abbonamenti, l’ASDEC aveva una pagina di promozione della sua attività e i bassotti avevano numerose manovre di attracco nel loro futuro.
I primi raduni si svolsero nella prestigiosa cornice di Villa D’Este. Poi ci furono i raduni a Venezia e la famosa “adunata motonautica” articolata sul percorso fluviale da Pavia a Venezia. L’Asdec ha organizzato anche un raduno a Milano con navigazione sul naviglio Grande fino ad Abbiategrasso. Gli scafi d’epoca navigavano a mezza forza in assetto semidislocante. Le onde generate da questa navigazione andavano a infrangersi ai bordi del naviglio sui piedi delle persone in attesa dei mezzi pubblici, che reagivano lanciando improperi.
Credo che il contributo più importante dato dall’ASDEC (acronimo di associazione motoscafi d’epoca e classici) sia stato lo sviluppo della formula di stazza, idea questa di Zanoletti. Il presidente si era reso conto che la valutazione di un motoscafo d’epoca dipendeva molto da un giudizio soggettivo dello stazzatore . La novità della stazza ASDEC consisteva nell’oggettivizzare il criterio di giudizio grazie ad una scheda in cui erano elencati una serie di parametri ( età, stato di manutenzione, originalità, restauro, eccetera) che contribuivano a determinare il punteggio finale assegnato all’imbarcazione. Vent’anni fa iniziava l’epoca d’oro delle barche d’epoca e l’ASDEC ebbe l’onore di essere invitata ad organizzare il primo raduno di motoscafi d’epoca nel Principato di Monaco.
Nel corso di questo ventennio va riconosciuto che l’ASDEC ha creato una cultura della conservazione e del restauro nel settore delle barche a motore creando lavoro e commesse che hanno contribuito a tenere in vita vecchi cantieri e a crearne di nuovi.