Di Antonio Soccol
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Io scrivo di cose nautiche su un mensile specializzato. Capita abbastanza di frequente che i lettori mi chiedano suggerimenti tecnici, consigli o, semplicemente, che mi mandino le loro opinioni. Di recente, sulla rivista ho esaminato il problema della produzione di imbarcazioni da diporto “bio” e ho sottolineato il fatto che, a tutt’oggi, la vetroresina non è biodegradabile né riciclabile. Subito un lettore mi ha chiesto se non fosse del tutto inimmaginabile il prossimo futuro, quando saranno messe (e molte lo sono già) in disarmo le barche attualmente in acqua (e le prossime che verranno con le nuove stagioni) , con la Terra tutta ricoperta di carcasse di scafi da diporto (e da lavoro) indistruttibili e non “macerabili”. Questo lettore mi suggeriva di riproporre la costruzione di imbarcazioni in legno. Negli Usa- riferisce Clifford Krauss- la Home Depot, cioè quella catena di ipermercati di articoli per casa e il bricolage che mette a disposizione nei suoi punti vendita ben 176mila prodotti, qualche mese fa ha inviato una nota ai fornitori, invitandoli a consegnare i documenti necessari per far includere la loro merce nella nuova campagna di marketing dell’azienda, la Eco Options. Sapete quanti sono stati i prodotti che si sono auto definiti “bio”? Ben 60mila. Tutto ormai è “bio”. Devastante che nell’elenco figurassero sia il manico di scopa in plastica (che non utilizza il legno delle foreste) che il manico di scopa in legno che non utilizza la plastica non biodegradabile...
Che fare? Bel dubbio, vero? L’unica speranza è che anche per la vetroresina accada quanto è già capitato per la carta, per il vetro e persino per le “bottiglie di plastica” dalle quali oggi si ricava quel meraviglioso tessuto leggerissimo e caldissimo con il quale si confezionano i cosidetti pile. Insomma: bisogna sperare nella “ricerca”, parola quasi ignobile in Italia ma che altrove, per fortuna, ha ancora significato e valore. Ho cercato di spiegarlo a quel lettore e in più gli ho anche detto che per fare le barche di legno ci vorrebbero i “mastri d’ascia”, una stirpe ormai in via di totale estinzione.
Proprio mentre scrivevo queste cose, ho ricevuto un mail da Giuseppe Telaroli. Giuseppe ha avuto, sino a pochi anni or sono, un cantiere al Lido di Venezia dove costruiva bellissime barche in legno da lui stesso progettate, ha collaborato allo studio e alla realizzazione della ricostruzione della barca di Marco Polo (i suoi bisnonni erano fornitori ufficiali dell’Arsenale della Serenissima), ha vinto con il progetto di un suo catamarano un concorso per lo scafo ideale per Venezia (mai costruito nonostante promesse su promesse da parte delle varie autorità... E, in merito, mi scrive: “Posso solo confermarti che il mio Progetto 89 con carena catamarano, dopo circa 1400 ore di prove con modelli, ha dimostrato in vasca navale d’avere tutte le caratteristiche e le qualità per essere usato nei canali veneziani e oltre”) e, infine, è uno degli ultimi “mastri d’ascia” italiani.
Nella mail (pur avendo una certa età, Telaroli bazzica il computer e questo la dice già lunga su di lui) mi ha mandato una sua relazione su un problema tipicamente veneziano: quello delle bricole, cioè di quei pali di legno che sono infissi in tutta la laguna e delineano i canali.
Queste benedette bricole un tempo erano in legno di Slavonia (territorio della Serenissima) e duravano un’eternità. Poi è arrivato il moto ondoso di centinaia e centinaia di scafi a motore ma soprattutto sono “tornate” le teredini che il legno, com’è noto, se lo mangiano. E poi ci sono gli errori dovuti all’ignoranza dell’uomo. Tanti. Troppi.
Confesso: vivendo ormai da quasi cinquant’anni a Milano, ho iniziato a leggere il testo di Telaroli con modesto interesse e entusiasmo. Ma, dopo poche righe, sono rimasto affascinato dalla straordinaria poesia della sua saggezza e della sua conoscenza della natura. Più andavo avanti e più mi sentivo coinvolto, aggredito dalla semplicità incontestabile delle sue affermazioni, del suo sapere.
Non vi chiedo di sentirvi appassionati interpreti del problema veneziano. Vi chiedo, se vi interessa il mare, di ascoltare una voce che sa cose che noi ormai ignoriamo e che fra qualche generazione nessuno saprà più. E, proprio per questo, chiedo per il testo scritto da Giuseppe Telaroli, mastro d’ascia, ospitalità a questo sito web dal nome così eloquente.
Leggetelo, non ve ne pentirete. E se, mentre leggete, sentite qualcosa mordervi il cuore, non preoccupatevi: quel aspide vuol solo dirvi che siete ancora vivi. Capaci di capire. Capaci di reagire. Capaci di voler dare una mano per creare un futuro migliore ad un pianeta che ha oltre il 70 per cento di superficie ricoperta dal mare.
Antonio Soccol
Non solo le teredini distruggono le bricole di legno. La globalizzazione ha alcuni effetti negativi: le bricole di legno di una volta duravano anni, oggi non arrivano a più di due, tre: con l’escursione della marea è ben visibile l’usura che subiscono nel bagnasciuga in pochi anni, aggravata dal moto ondoso.
Analizziamo i fattori che contribuiscono ad accorciare la loro durata.
Alla fine dell’ottocento le teredini erano quasi scomparse dal Mediterraneo. Sono riapparse dopo la guerra di Corea (anni 50) forse per l’intenso traffico di pecore dalla Sardegna via Suez, con il ritorno veloce delle navi carretta per altri viaggi senza mai fare carena. Nelle carene così incrostate si annidavano le teredini assieme ad altri molluschi: proliferazione ed ambientamento facilitati dalla coincidenza con l’inizio dell’aumento della temperatura dell’acqua e della salinità nei nostri mari (acque della laguna comprese).
L’altra causa, importante è lo scadimento del legno già all’origine nel bosco: non è più tagliato in corrispondenza della “prima Luna calante d’agosto”, momento in cui il legno entra in letargo invernale, ma in qualsiasi stagione; non è più lasciato nel bosco fino all’inverno e così il primo atto naturale di stagionatura viene eliminato; oggi non è più trasportato via acqua fino alla laguna veneta, operazione principe per la durata del legno, atta ad eliminare quella sostanza zuccherina presente al momento del taglio e fonte principale, una volta posto in opera, per provocare l’aggressione dei parassiti; infine il legno non è più lasciato essiccare per uno o due anni sulle rive fangose dei canali, dove la marea, con il suo salire e scendere, toglieva altre impurità, lo fortificava, lo induriva.
Questo procedimento, detto in gergo “el xe inoxava” (si faceva le ossa), era anche un sistema per impedire che quando veniva usato, il legno venisse aggredito dai tarli, dai funghi e neppure si fessurasse: vedi, in merito, le famose capriate, a forma di carena di nave, delle chiese e le travature ancora esistenti nei vecchi palazzi di Venezia.
E’ molto importante il posto dove è cresciuto l’albero, se a nord o sud di una collina o di una montagna; il tipo di terreno: se è alluvionale sarà di pasta tenera, crescerà in fretta a larghi anelli, viceversa se il terreno è duro e sassoso, o se il clima invernale sarà molto rigido, avrà una crescita più lenta, anelli più stretti e di conseguenza pasta più dura e duratura. Agli errori umani aggiungiamo gli inverni sempre meno rigidi, la poca cura del bosco, il taglio non selettivo ma solo industriale. Oggi, per fare bricole, si usano alberi spesso non idonei, mentre un tempo si dava la massima importanza alla scelta del tipo di legno in funzione del suo impiego.
Le due guerre mondiali hanno distrutto in tutta Europa immensi boschi di pini, abeti, faggi, querce, castagni, noci, robinie, lecci eccetera. Si è cercato di sopperire con il rimboschimento, ma non si è più recuperato il patrimonio: la qualità dei boschi ricresciuti non vale quella degli scomparsi. Le cause? Il cambiamento climatico, il territorio sempre più soggetto all’urbanizzazione eccetera. Ne consegue che alberi d’alto fusto come la quercia, che devono avere circa 90 anni e più per fare bricoloni o dame, non sono più così resistenti come quelli di inizio del secolo scorso.
Si aggiunga che dal Piemonte, dalla Francia, dalla Slovenia (i migliori) certi tipi di alberi non vengono più forniti. Attualmente arrivano tutti dai paesi dell’Est e sono di qualità scadente.
Nel bosco l’albero comunica con i suoi simili; le sue fronde e il fogliame percepiscono i cambiamenti climatici di cui può essere vittima; con le sue radici disinquina corsi d’acqua; trova l’acqua per sopravvivere anche nei terreni più aridi; in caso contrario è, in natura, la più grande pompa idraulica esistente nel mondo: assorbe migliaia di litri d’acqua in un giorno. E, infine, è l’unico baluardo contro le alluvioni e lo smottamento di colline e montagne.
Si afferma che l’albero è sempre “vivo” anche dopo che è stato tagliato. Produce, infatti, la “linfa” che è una miscela di vario tipo d’olio e resina, atta a stabilizzare le fibre che lo compongono. Speciale è la resina della quercia che però perde spesso tutti i suoi benefici in poco tempo. Nel nostro caso quando un tronco viene usato per fare la bricola, viene infisso al rovescio: la resina presente non scorre più nel tronco e ciò va a danno della fibra, sua essenza principale. La prova del nove? Si immergano due rami dello stesso legno nell’acqua: quello posizionato in modo inverso marcisce prima di quello in posizione “naturale”.
Anche il modo attuale con il quale sono conficcate le bricole contribuisce al degrado: non sempre si usa il capello (un pezzo di tronco che si frappone tra il battipalo e la bricola); non sempre si usa la sonda idraulica per eliminare lo sforzo che subisce il palo nell’infissione. Inoltre, gli attuali battipali molto veloci, riscaldano la testa del legno, la screpolano, la fessurano, creando l’habitat ideale per funghi e altri organismi che marciscono velocemente il tronco stesso. E, infine, l’applicazione della pece a caldo, un tempo eseguita in modo “massiccio”, oggi è appena superficiale e quindi non è sufficiente.
Negli ultimi trenta anni si è provato il legno di castagno che rilascia una sostanza chiamata tannino: il castagno si è dimostrato più resistente all’attacco delle teredini di qualsiasi altro tipo di legname ma, per sua caratteristica strutturale, si fessura facilmente con gli urti e conseguentemente è di frequente rottura. Si sono sperimentate anche essenze esotiche, ad esempio il ramino, un legno che ha dato buoni risultati.
Ma... quante foreste vogliamo distruggere? Questa è la vera domanda.
Sono state provate altre tecniche: l’impregnazione dei pali con sostanze catramose, oleose, antitarlo, la copertura con resina o con tessuto e fibra di vetro, con calze termoindurenti, con chiodi conficcati nella parte immersa. L’unico successo si è avuto con il bagno in autoclave e l’immersione del palo in un liquido di rame assieme ad altri ingredienti molto tossici: da circa venti anni è, giustamente, proibito.
Arrivati ai nostri giorni, si è incominciato a costruire bricole in plastica di piccolo diametro usate
per ormeggiare piccole imbarcazioni, con l’uso di vari tipi di resine, mescolate con scarti anche di legno.
Esteticamente sono tali da ingannare, almeno da lontano, anche un occhio esperto avendo un colore molto simile a quello del legno vero e proprio. Speriamo vengano perfezionate: non più perfettamente cilindriche, smussate nella testa, e capaci di presentare delle sfaccettature e qualche nodo. Solo così potranno essere scambiate per una vera bricola di legno. Speriamo che ora si costruiscano anche i bricoloni; ormai sono in grado, tecnicamente di renderli esteticamente indistinguibili dal palo di legno, se si usa uno stampo ricavato da una vecchia bricola. La Sovrintendenza dovrà dare il suo consenso e, se non lo farà, si assumerà la responsabilità della distruzione inutile delle foreste.
In laguna ci sono circa un milione di pali: attualmente il costo di produzione di una bricola in plastica è circa cinque volte quello di una in legno ma la realizzazione in gran serie abbatterebbe il costo iniziale del 50% circa, ammortizzando così il costo in circa tre anni. In compenso, per circa dieci anni, non sarà più necessaria alcuna manutenzione. Solo così si potranno salvare quei boschi di cui l’umanità intera ha disperato bisogno. Sembra quasi un controsenso che un maestro d’ascia, ben conscio che il legno è inimitabile, si faccia promotore della plastica.
Il mio desiderio è di riservare il legno per un uso più nobile, invece di darlo in pasto alle teredini. Giuseppe Telaroli (maestro d’ascia)