Di Antonio Soccol
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Non vuole si parli di lui. (E non ne parlerò.) Non gli piace. Dice che quello che conta è l’idea perché è l’idea ad esser valida. Gli uomini che la propugnano hanno valenza come squadra, equipe, team, non come singoli individui. Infatti, se andate alla url www.asdec.it e cliccate su “La nostra storia” c’è testualmente scritto: “Nel dicembre 1987 un gruppo di amici tutti molto appassionati di barche d’epoca decise di riunirsi in un’associazione: il primo ostacolo da superare fu la scelta del nome. Non fu una decisione semplice e facile: il risultato ASDEC, Associazione Scafi d’Epoca e Classici - Registro Storico Nautico, anche se decisamente non bello, rispecchia però quello che era ed è il nostro desiderio: innanzitutto “scafi” e non barche, per sottolineare maggiormente l’amore che abbiamo per l’essenza stessa delle barche: lo scafo. Inoltre “d’epoca”: ossia tutto ciò che, avendo superato il quarto di secolo, comincia ad essere nobilitato dall’età. Però anche barche di costruzione più recente possono avere il sapore ed il carisma della costruzione tradizionale e di conseguenza rientrare nel nostro interesse; le abbiamo chiamate “classiche”. Comunque l’ASDEC è un’associazione di persone, non di barche. Tutti coloro che condividono la nostra passione sono i benvenuti.
Cosa si propone l’Asdec? Innanzitutto riunire dei veri appassionati, cosa piacevole di per sé stessa, ma anche molto interessante per la possibilità di arricchire la propria conoscenza con lo scambio dellesingole esperienze.
Il secondo scopo è preoccuparci, occuparci ed attivarci affinché gli scafi d’epoca e classici vengano conservati nel migliore dei modi.
Per ultimo, raccoglierne le notizie storiche. A questo fine abbiamo istituito il “Registro Storico Nautico” in cui vengono raccolti tutti i dati delle barche da noi certificate.
Allo scopo di divulgare l’interesse per queste imbarcazioni, l’Asdec promuove meetings internazionali di imbarcazioni d’epoca sia sul mare che sui laghi.”
Il tutto senza firma. A sostegno dell’idea, appunto, e non dei personalismi.
Risultano esser stati, venti anni or sono, soci fondatori, in rigoroso ordine alfabetico: Franco Canteri, Silvio Caracci, Salvatore Catalano, Angelo Dessì, Jean-Marc Droulers, Carlo Gandini, Piero Gibellini, Piero Guidi, Riccardo Notarbartolo, Giulio Ricci, Marcello Sancassani, Angelo Vassena e Gianalberto Zanoletti.
Oggi il board (2006-2008) è composto da questi consiglieri: Piero Bedoni, Riccardo Cepparo, Paolo Falciola, Paolo Lodigiani, Riccardo Magrini, Vittorio Pozzo e Gianalberto Zanoletti. Mentre Domenico Arena, Mario Gavanna e Alberto Villa sono i revisori dei conti e Stefano Marini Balestra, Franco Canteri e Guido Pasta sono i probiviri.
Che cosa ha fatto questa Asdec nei circa settemilacinquecento giorni trascorsi dalla sua fondazione ad oggi? Se andate sul sito lo scoprite nei dettagli perché è molto ricco di informazioni con dieci capitoli davvero esaustivi: “Avvisi ai naviganti”, “La nostra flotta”, “Compro e vendo”, “Restauro”, “Raduni”, “Glossario”, “I nostri amici”, “Navigando”, “Registro storico navale” e “Utilities”. Ce n’è davvero per tutti i gusti e per tutte le esigenze. (Personalmente trovo deliziosa l’idea di aver inserito anche un buon “dizionario nautico”, lettura che raccomanderei molto volentieri anche a certe redazioni di riviste specializzate che so io...).
Ma devo riportare anche un paio delle risposte che mi ha dato il mio, per sua volontà, anonimo interlocutore. Che mi ha detto: “Prima di tutto, ci siamo dati professionalità. Tutte queste associazioni di “innamorati di una idea o di una epoca”, se non hanno chi dentro ci lavora seriamente e che è retribuito per farlo...finiscono in fretta, con la fatica e lo spegnersi degli entusiasmi. Poi abbiamo chiaro un concetto assoluto: se in Asdec dovessero entrare “i soldi” (come è capitato altrove per prodotti di gran valore storico), l’Associazione smobiliterebbe immediatamente perché la sua esistenza non avrebbe più alcun senso. Un conto è la passione, altro è il business. A noi, di fare business con le barche d’epoca, non interessa. Né deve interessare.” Commento (mio): il riferimento e la critica a chi si occupa, ormai quasi istituzionalmente, di auto storiche sono chiari e veramente corretti. Personalmente condivido in toto il nobile “concetto”. Mentre per quanto concerne il primo punto, cioè la segreteria dell’Asdec, beh: è ineccepibile per qualità ed efficienza. Davvero di assoluta professionalità. Ecco perché l’Associazione esiste e funziona da oltre venti anni.
La mia attenzione si è però, soprattutto, concentrata sul Registro Storico che raccoglie all’incirca 160 barche (e persino un aliscafo del 1973, da 8,50 metri ft): la più anziana è “Ida”, una lancia a motore costruita da Taroni nel 1905, seguita da “Angelo” un vaporino sempre di Taroni del 1910 e da “Isefjord”, un motorsailer del 1912. Ci sono poi “Dulcinea” (una inglesina di Luigi Taroni), “Annina” (un gozzo algherese) e “Barca Grossa” (una lancia di Ronchi) che sono tutte della stessa classe 1920. Dopo viene una lancia tender di Camper che si chiama “Islay” ed ha due anni di meno mentre, con più di ottanta anni, figurano ben tre Chris Craft di quando il nome di questo cantiere nordamericano era assolutamente sinonimo di “motoscafo” (o “runabout” che dir si voglia). Questi tre moschettieri yankee sono capitanati da “Alì Babà” (classe 1926) che ha una storia davvero affascinante essendo molto probabilmente stato importato, in Italia (a Venezia), dagli Usa quale regalo di nozze di Franklin Hutton per quella sua figlia, la miliardaria americana Barbara Hutton, che lo battezzò con le abbreviazioni storpiate del nome di battesimo del primo dei suoi sette mariti (Alexis Midvani) e del suo.
“Alì Babà” (secondo quanto scrivono i libri biografici usciti negli Usa su quella che venne definita “The poor little rich girl” e sulla cui vita la bravissima Farrah Fawcett fece anche un famoso film proprio con questo titolo) in realtà si chiamava (e ancora si chiama) “Ali Baba” (senza accenti finali, come peraltro si usa fare in lingua inglese) ed è stata la prima barca con la quale qualcuno (il marito di Barbara) ha fatto sci nautico in Mediterraneo... Narrano le storie dell’epoca che quando Alexis, sull’acque antistanti l’Hotel Excelsior del Lido di Venezia (dove i due sposini erano in lunghissimo viaggio di nozze), cadeva e perdeva gli sci, dicesse al driver del Chris Craft di non perdere tempo a cercarli in mare che tanto Barbara gliene avrebbe comprati subito di nuovi...facendoli arrivare direttamente dagli Stati Uniti. Tanto negli States costavano poco, visto che là... c’era la Grande Depressione!
Il 15 settembre del 1934, Midvani con questo scafo, vinse le batterie per la Coppa “Duca di Genova”, una gara motonautica che si svolgeva ogni anno a Venezia. Ma la cosa non impressionò affatto la moglie che, con l’amica Jean Kennerley, se ne andò a Napoli per un paio di settimane dal conte Carlo Caetani. Non senza aver lasciato, così per simpatia, al maritino un assegnino di tre milioni di lire (dell’epoca, e cioè di quando si cantava “ Mamma, dammi cento lire che in America io voglio andar...”) perché comprasse l’Abbazia San Gregorio sul Canal Grande... Robe d’altri tempi!
Perché so tante cose di questi due signori e di questa loro barca? Semplice: perché in quei lontani anni la manutenzione di “Ali Baba” era affidata al cantiere di mio padre... All’epoca la signora Hutton, appena sposata in Mdivani, aveva da pochi mesi compiuto ventun anni e, grazie a questo, si era ritrovata allegramente ereditiera di una somma incredibile: 50 milioni di dollari dell’epoca (esentasse, s’intende). E’ piuttosto complicato stabilire con precisione il valore attuale di quel capitale: la stima più attendibile (fatta da C. David Heymann nella sua biografia “Poor Little Rich Girl: the life and leggend of Barbara Hutton”, Random House ed.; New York, 1983) parla di qualcosa come 60.000 (diconsi sessantamila) miliardi delle nostre vecchie lire al momento dell’arrivo dell’euro. E’ impressionante sapere che nel 1979, quando Barbara morì alcolizzata in un albergo di Los Angeles, aveva in banca appena tremila dollari: insomma, la ragazza era una di quelle persone che, nella vita, non s’era fatta mancar proprio nulla... A Venezia, all’Harry’s Bar di Cipriani, ricordano ancora, oltre alle sue mance stratosferiche, quanto amasse il loro famoso aperitivo “Bellini”, purché - è ovvio - venisse fatto con lo champagne invece che con l’originale Prosecco di Conegliano. Come avrebbe detto il Duca di Lévis: noblesse oblige. Peraltro e sempre a proposito di “barche d’epoca”, pensate che quello che successivamente divenne lo yacht personale di Barbara Hutton è oggi ancorato nel porto della Città Vecchia di Stoccolma con il nome “Mälardrottningen” ed è un hotel di lusso, a 5 stelle, da sessanta camere.
Vabeh, scusate la digressione personal-famigliare e torniamo alla nostra beneamata Asdec. Qualcuno (io) ha fatto le pulci a questo suo elenco di barche storiche (e classiche) che figurano nel Registro e, con costernazione, si è accorto che mancano (quasi del tutto) molti scafi piuttosto importanti: intendo quelli che hanno fatto, negli anni Sessanta e Settanta, una bella fetta nella storia dello sviluppo della nautica da diporto italiana. Parlo di modelli di Acquaviva, della Italcraft, di Lugaresi, di Mochi, della Navaltecnica, della Partenocraft, di Posillipo eccetera. Come si vede, quasi tutti cantieri del centro-sud.
“Non è di certo voluto. Anzi: il fatto ci rammarica. Però va anche tenuto conto che in quegli anni il “grosso” della produzione nautica era fatto al nord, soprattutto sui laghi. E quindi che di “quelle” barche ce ne sono di più in senso numerico (e perciò anche statistico) nel mercato dell’usato. Inoltre, onestamente, dobbiamo riconoscere che abbiamo una certa difficoltà a raccogliere “amici” del sud pur avendo fatto molto e in più occasioni per stimolare i nostri princìpi e le nostre idee in quelle aree dove possono ancora trovarsi importanti imbarcazioni “storiche” dei cantieri citati”, mi hanno detto all’Asdec. E poi, giù aneddoti di raduni organizzati sul Tevere e alla fine realizzati solo con barche trasportate dal nord con camion e carrelli perché di scafi del sud ce n’era uno solo... Beh, è proprio difficile dargli torto.
L’iscrizione alla Associazione costa una sciocchezza rispetto al valore di queste barche e quindi non è davvero un fatto economico. Si vede che al sud un certo tipo di spirito manca ancora. Peccato. Anche se di recente un forte, concreto e importante movimento si sta creando nella zona di Amalfi sia pure, per il momento, decisamente finalizzato solo alle imbarcazioni progettate da Renato “Sonny” Levi. Ma “mai dire mai”, vero Giacomo?
Se consultate l’elenco delle imbarcazioni inserite nel Registro, scoprite che hanno un punteggio. Come venga assegnato è interessante perché illustra con grande efficienza la mentalità che vige in questa associazione.
Il documento relativo sostiene che la certificazione per le barche a motore (per quelle a vela c’è qualche variante specifica) parte da un valore teorico che va da 0 a 210. Le imbarcazioni dovranno raggiungere il punteggio minimo di 90/210 calcolando il totale dei punti risultanti dalla valutazione dei seguenti parametri: età, storia, importanza, originalità, manutenzione e restauro, estetica.
Non posso riprodurre qui tutto l’interessante documento altrimenti il direttore mi fucila ma vi segnalo un paio di passaggi interessanti del questionario che si deve compilare. Per esempio: sulla importanza storica della barca (in questa, come nelle altre voci, le domande sono solo un esempio. per meglio spiegare lo spirito di quello che la certificazione Asdec intende per le specifiche voci). La sua imbarcazione ha avuto un passato storico importante? (per esempio ha avuto come precedenti proprietari dei personaggi della cronaca, oppure personaggi storici? Kennedy o Brigitte Bardot o Mussolini).
Oppure ha partecipato a gare importanti o ad eventi significativi?
Ha avuto qualche innovazione tecnica particolare? (per esempio?)
Avete notizie storiche particolari sulla vostra barca e/o sull’epoca in cui è stata costruita? (per esempio, interviste al proprietario del cantiere costruttore o suoi eredi). Oppure là dove si valuta l’originalità dello scafo. La filosofia Asdec, riguardo questo specifico punto, ribadisce il seguente concetto basilare: non ha importanza se uno o più pezzi della barca o al limite la barca intera sia composta ancora dello stesso legno o degli stessi materiali di quando è stata varata. L’importante è che eventuali sostituzioni di parti della barca o di accessori, siano stati eseguiti attenendosi sia tecnicamente (materiali) che come estetica, a modelli assolutamente in linea con l’epoca del primo varo. In pratica, se l’aspetto della barca, sia nell’insieme che nei particolari, possa sembrare originale; il fatto che in realtà non lo sia non ha importanza.
Interessante anche quanto si dice a proposito dell’età e in particolare sul valore dei materiali di costruzione: “se gli scafi sono stati costruiti in vetroresina, gomma o comunque materiali sintetici, possono avere un punteggio solo se costruiti anteriormente al 31/12/1969. Invece per tutti gli altri materiali, legno, compensato, ferro, alluminio eccetera, la data da considerare è la risultanza di 25 anni d’età.”
E poi? Dopo il Registro che ha fatto l’Asdec? Beh, poi l’Asdec ha fatto un elenco di cantieri che si sono specializzati nel recupero e restauro di vecchie imbarcazioni: utile. L’Asdec ha compilato un elenco di “esperti” specificatamente competenti sulle differenti aree di interesse nautico (barche a motore, a vela, da diporto, da trasporto, da guerra, da corsa, da regata eccetera): utile perché si possono consultare. L’Asdec ha organizzato (e organizza) “raduni” che servono (oltre che per fare un po’ di allegra baldoria) per scambi di opinioni, di informazioni, di confronto: io personalmente, da buon “lupo solitario”, non li amo molto questi meetings ma come negare la loro funzione? E, infine, l’Asdec ha promosso e promuove visite a musei storici di barche. Per esempio a quello della “barca lariana” dove c’è ogni ben di dio, compresa una vera e autentica gondola veneziana, costruita da mastri d’ascia della Serenissima, fatti venire apposta su quel lago per la sua realizzazione... nel 1860. Non so...fate voi!
E qui mi fermo. Ricordate “Natale in casa Cuppiello” di Eduardo? Ricordate il refrain: “Te piace ‘o presepe?” Il presepe, intorno al quale si snoda tutta la vicenda, è simbolo dell'amore universale e dei valori della famiglia a cui Luca (il protagonista) ancora si ostina a credere, anche se l'equilibrio della sua famiglia è messo in discussione. Ecco: “Te piace ‘a barca d’epoca?”. A me sì: io mi ostino ancora a credere in certi valori delle barche anche se oggi molti (cantieri e clienti) li mettono in discussione. Perciò: grazie Asdec.