Di Paolo Lodigiani
Per scaricare il testo in formato PDF clicca qui.
Si devono far navigare le barche d’epoca? Confesso che fino all’ottobre dello scorso anno non mi ero mai posto questo interrogativo tanto mi sembrava scontato che esso avesse una risposta affermativa.
L’episodio che ha minato le mie certezze in proposito è avvenuto in occasione del raduno di vele d’epoca tenutosi sul lago di Como, a cui ho partecipato con una piccola deriva della “Serie Laghi”, una classe creata nel 1923 a Cernobbio con l’ambizione di diventare la concorrente italiana del noto e diffuso dinghy 12’. Dal momento che ho in famiglia fin dalla data di nascita della classe due di queste imbarcazioni perfettamente naviganti e dotate di tutte le attrezzature originali mi è sembrata una buona idea affidarne una in occasione del raduno al nostro Presidente Gianalberto Zanoletti.
Conoscendone la passione, la competenza e il senso marinaresco ritenevo che la barca non potesse avere timoniere più degno. Di quanto la scelta fosse azzeccata ho avuto l’immediata conferma dal fatto che in un bel bordeggio da Moltrasio a Cernobbio contro una piacevole breva Gianalberto riusciva a prevalere nell’amichevole ma combattuto match race che avevamo ingaggiato. Era stata una bella veleggiata, nello stile signorile e disteso dello yachting d’altri tempi, in più allietata da un caldo sole tardo-autunnale e dalla simpatica compagnia di altri equipaggi che condividevano la nostra passione. Mi aspettavo, sbarcando a Cernobbio, di trovare l’amico Gianalberto vibrante di gioia per il combinarsi di tutti questi ingredienti. Mi stupivo quindi nel vederlo un po’ nervoso, quasi adombrato, come se lo rodesse un intimo ed inespresso cruccio. Messo alle strette dalle mie domande finì per rivelarmi che, pur avendo apprezzato il mio invito, deplorava il fatto che io usassi tranquillamente barche così pregiate esponendole al rischio di danneggiamenti che potevano risultare anche irrimediabili. Rimasi scosso da questo rimprovero, peraltro espresso in forma assai garbata: esagererei dicendo che ha turbato i miei sonni ma da allora mi chiedo se faccio bene ad usare le mie barche d’epoca e non perdo occasione per raccogliere le opinioni in proposito anche di altri appassionati. Ho ricevuto i pareri più disparati. C’è perfino chi sostiene che tutte le barche, siano esse d’epoca o moderne, non dovrebbero mai essere messe in acqua: è dal momento in cui una barca si bagna che per l’armatore cessano le gioie e iniziano i dolori. Idea forse un po’ apocalittica ma non priva di fondamento. Alla fine per venire a capo dei miei dubbi, ricordando che, come diceva l’avvocato Agnelli, è meglio parlare con le donne piuttosto che parlare di donne e convinto che tale aforisma si applichi perfettamente anche alle barche ho pensato di interrogare le dirette interessate, le mie barche. Non sto a raccontare tutto il colloquio, che è stato vivace e animato (le barche, come le donne, possono essere molto loquaci), tanto più che le due barche erano in totale disaccordo. Quella che avevo timonato io, guarda caso, dava ragione a Gianalberto: lamentava che alla sua tenera età non aveva più nessuna voglia di raschiare il fasciame su scivoli ruvidi e duri, di inumidirsi le costole imbarcando acqua e di esporre le vele agli spifferi del vento. Essendo molto snob mal sopportava di trovarsi ormeggiata fianco a fianco di volgarissime e insopportabili barca in plastica e, nella sua vanità, sognava solo di finire i suoi giorni in un museo a pavoneggiarsi di fronte a nostalgici ammiratori. L’altra barca invece, assai più arzilla benché coetanea e ancora tutta eccitata dalla regata vinta, professava grande amore per il navigare e si diceva sportivamente pronta a sopportarne gli inevitabili disagi. Ha aggiunto anche, in un impeto di sincerità, di essersi trovata così bene con quel bravo e simpatico timoniere a cui l’avevo affidata da non veder l’ora di averlo nuovamente a bordo, magari in occasione del prossimo raduno. Il colloquio per me è stato illuminante: ho capito che non è tanto importante se si usano o no le barche d’epoca; ciò che conta è chi le usa e come le usa. Risolto questo problema ora mi trovo a doverne affrontare un altro: come spiegare alla mia barca che Gianalberto non vorrebbe più usarla. Penso che non le dirò niente; lascio che sia lui, se vuole, a spiegarle le sue idee. Io proprio non me la sento di darle questo dispiacere.